Poco tempo fa mi trovavo in
pulmino con alcuni amici di ritorno da una giornata a Firenze. Chiacchierando
chiacchierando per occupare il viaggio, ci siamo imbattuti in un discorso che
mi ha sorpreso abbia tanto appassionato tutti noi. E’ stata la prima volta che
così a lungo e approfonditamente ho confrontato la visione scientifica con
quella filosofica in un discorso che coinvolgesse ingegneri, biologi,
informatici e non solo filosofi che, si
direbbe, se la cantano e se la suonano tra loro. Non è stato questo filosofare? Tornata a casa
ho ripreso le mie letture e mi sono resa conto che quell’incontro itinerante mi
aveva fornito gli strumenti per comprendere meglio ciò che stavo leggendo. A
sua volta il caro Karl Jaspers
,
riletto con nuovi occhi, mi offre ora la possibilità di rispondere, o meglio di
tematizzare con più cura, quei nodi emersi. Coloro che, come i viaggiatori del
pulmino, nelle loro giornate si occupano di misurare, calcolare, osservare,
possono forse trovare qui qualche s-punto di domanda.
Se parliamo di pensiero scientifico siamo sicuri di intenderci, ci
riferiamo a conoscenze esatte, a sapere oggettivo, raggiunto con rigore
metodico. Ciò che è scientifico è reale: così è. Se invece parliamo di
pensiero filosofico ci accostiamo ad una molteplicità di definizioni e
supposizioni: il pensiero filosofico è quello che indaga il senso della vita,
oppure è un ragionamento astratto e non incisivo sulla realtà e la società, per
altri è fantasticheria oppure esercizio di erudizione o ancora mentalità
alternativa per tipi originali: il classico “prendila con filosofia!”. Cominciamo con il dire che la filosofia ha il compito di cogliere la realtà nella sua dimensione
originaria. Questa potrebbe sembrare una ambizione esagerata e un
obiettivo inarrivabile. Eppure l’intento, sin dall’origine della filosofia, è
proprio di conoscere la realtà nella sua autenticità.
Evidentemente nel tempo, lo
sviluppo delle scienze ha dato maggiore specificità ai diversi ambiti del
sapere e così le scienze empiriche,rispondendo in modo accurato a diverse
domande che prima erano esclusive della filosofia, ne sono divenute referenti
titolari. Ad esempio, se prima la filosofia si occupava del cosmo, ora è l’astronomia
a farlo. Ed è un bene. Questo non impedisce la legittimità dell’allora
filosofia ma evidenzia che la filosofia
oggi deve essere altro. Essa infatti ha fallito quando, per un certo tempo,
contagiata dai successi delle scoperte scientifiche e forse invidiosa per
l’entusiasmo riservato ad esse, ha voluto assumere lo stesso modello di sapere
e procedere con l’esattezza di quelle e adottare come oggetto di indagine la totalità empirica. Ecco il suo
errore! Voler essere da un lato pensiero scientifico-obiettivo, dall’altro
etico. La filosofia ha più volte provato
questa unione divenendo ambigua: dire del senso con il rigore scientifico.
Questo anche ai profani risulta assurdo. Ciò che si ottiene per questa via sono
niente più che giochi concettuali. Questa filosofia genera insoddisfazione,
per avere una conoscenza oggettiva della realtà meglio rivolgersi direttamente
alla scienza.
Questa scienza Signora però non è
la soluzione a tutti i nostri quesiti. Essa non può darci i criteri
dell’agire, non può fornirci le norme
per come vivere una buona vita, a motivo dei suoi limiti, che è bene
individuare:
La conoscenza scientifica delle
cose non è, e non può essere, conoscenza dell’essere. La scienza si rivolge infatti sempre ad un oggetto particolare, è
conoscenza determinata e in quanto tale non è rivolta all’essere stesso. Si tengano quindi validi di
ogni ricerca i risultati, ma essi soltanto. Ogni concezione dell’uomo e
dell’etica non è affar dello scienziato. Egli avrà certamente un orizzonte di
valori e di criteri ma in quanto uomo, mai come scienziato; perché egli faccia
ricerca rigorosa deve sospendere ogni giudizio. Da qui viene in seguito che la conoscenza scientifica non è in grado
di dare alcuno scopo per la vita, non può guidare la vita. La scienza non può dare nemmeno alcuna risposta
riguardante il suo proprio senso: il fatto che esista è basato su impulsi che
non possono essere dimostrati scientificamente. Possiamo semplificare
dicendo che la conoscenza scientifica impedisce che nella filosofia sia
possibile la conoscenza obiettiva delle cose, che è invece propria della conoscenza
metodicamente esatta; allo stesso tempo la chiarezza filosofica è necessaria alla scienza per
comprendere se stessa.
Chiariti i limiti della scienza e
chiarito cosa non è la filosofia, cosa resta da indagare ad essa? Di cosa si occupa infine questo pensiero
filosofico che non deve dire dell’essere in forma di unità oggettiva eppure
dice dell’autenticità del reale? Fortunatamente la filosofia offre più
spunti di riflessione e, sebbene più pensieri cadano sotto il nome comune di filosofia, non esiste un’unica risposta
alla domanda “che cosa dice la filosofia?”. Semplicemente non esiste una filosofia..e quante teste pensano,
tante sono le filosofie, anche se pochi poi esplicitano le loro riflessioni.
Dunque per rispondere ci affidiamo ancora a Karl.
Jaspers ci propone due modi di porsi
di fronte alla realtà. Il primo è quello tradizionale, della conoscenza che si
basa sul rapporto tra soggetto conoscente e oggetto conosciuto. Rapporto in cui
il soggetto cerca di fissare e assolutizzare
il dato conosciuto tramite le categorie dell’intelletto: far rientrare tutto in
uno schema, dare un ordine. L’altro è quello della ragione: l’uomo è
portato al superamento dell’oggetto, ad andare oltre la conoscenza oggettiva
del reale. La ragione rivela che,
nonostante il conoscere secondo intelletto non è da negare o disprezzare, esso è da superare, oltrepassare. L’uomo è
portato ad una “trasformazione”: nell’atto del conoscere scopre i limiti di
tale conoscenza oggettiva e la problematizza, la pone in questione in quanto
non capace di dare ragione del fondamento dell’uomo. “Rendere problematica
questa assolutezza del conoscere vuol dire aprirsi alla trascendenza”. Vi è uno spazio della realtà che sfugge
all’intelletto, che non si può conoscere. Questo spazio, messo in luce dalla ragione, apre alla
trascendenza. Questa trascendenza è a sua volta non definibile. Non è
inscrivibile ad alcuna categoria. Segna il limite invalicabile della finitezza
dell’uomo. E’ quell’essere che ci si fa incontro e che di volta in volta si fa
espressione in un oggetto, ma il cui orizzonte resta sempre inarrivabile al
nostro sguardo. Il mettere in luce
questo limite è il comprendere. Se dell’intelletto è proprio il conoscere,
della ragione lo è il comprendere. E per comprendere è necessario unire teoria
e prassi, pensiero e azione trasformatrice, conoscenza e superamento,
esperienza del limite.
Questo è l’altro pensiero di cui
ha bisogno la filosofia, tutt’altro che un sistema della totalità. Se dunque restano aperte delle domande,
se non si vede chiaramente il legame e la coerenza di più aspetti della realtà,
è perché stiamo interrogando la realtà ad un livello superiore; significa che
ci stiamo avvicinando al fondamento, a quella realtà autentica che resta sempre
aldilà delle nostre possibilità di conoscenza ma di cui passo passo possiamo
fare esperienza. Con le parole
dell’autore:
“Il filosofare sospinge il pensiero fino a quel punto in cui il pensiero
ha la possibilità di trasformarsi in esperienza
della realtà stessa. Nel processo di tale pensiero provvisorio e preparatorio
sperimento un qualche cosa che è più del pensiero. La metodica obiettivazione
di tale pensare è la filosofia.”
Scienza e filosofia devono dunque
separarsi nella consapevolezza del sostegno irrinunciabile che ognuna è per
l’altra. Quale scienza potrebbe mai esserci senza un orizzonte di senso verso
cui indagare? E quale rilevanza e inerenza storica potrebbe avere un pensiero
filosofico privo della conoscenza del reale? Non c’è superamento se non c’è
realtà da oltrepassare. Consapevoli che, nel far filosofia oggi, non si
pretende di dimostrare: si può solo offrire uno spazio di riflessione ad alcuni
pensieri fondamentali.