Bacone dice: “sapere è potere” . La conoscenza è la chiave per
dominare la natura e poter superare i limiti che ci impone. Possiamo volare,
telefonare, costruire grattaceli. Il sapere ci offre un maggiore potere di
azione. Eppure la conoscenza, che porta tanti vantaggi, non deve trarci nell’inganno
di credere che ciò che è possibile è lecito.
Assistiamo allo stravolgimento dell’incitante volere è potere, dove al primo posto c’è la volontà dell’uomo a
rappresentanza dei suoi desideri e aspirazioni, all’ imperativo potere è volere,
dove al centro c’è la tecnica che con le sue scoperte condiziona la nostra
volontà: se è possibile, perché no? Se possiamo averlo, se si può fare, perché
no? Cosa importa desiderarlo?
Il punto è
se posso averlo.
Lo posso, lo vorrò.
Abbiamo assistito in questi
giorni ad un cambiamento importante nella nostra legislazione e non ci siamo soffermati
a riflettere sulle conseguenze che comporta. La Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale la legge 40 che vietava
la fecondazione eterologa. Ciò significa che da ora una coppia che non può
avere figli naturali può ottenere il gamete che gli serve (spermatozoo od
ovulo) in una banca del seme e fecondarlo in provetta col gamete “sano” della
coppia e infine impiantarlo nel grembo della donna.
I problemi etici che emergono
sono molti, soprattutto nei confronti del nascituro. Colui/colei che consegna
il proprio gamete non è un donatore, come si usa chiamarlo, ma nei fatti è il genitore del nascituro. Questo
implica che il nascituro ricuserà
inevitabilmente della sua origine “plurale” sia a livello psicologico (da
dove vengo? Chi è il mio vero padre/madre?- domande tipiche di un orfano) che a livello fisico e salutare. Il nascituro
inoltre potrebbe imbattersi nel corso della vita in fratelli biologici non
conosciuti, visto che i gameti di un donatore possono essere destinati a più
coppie. Si sottovaluta anche l’aspetto psicologico
della coppia che dopo la soddisfazione di aver ottenuto un figlio può percepire il nuovo nato come un
estraneo, e vivere il genitore biologico come una intruso nella relazione
di coppia e la fecondazione come un tradimento.
Ma ciò che davvero mi preoccupa è ciò che in tutta la faccenda resta
velato. Il nascituro avrà a che fare con una origine “impegnativa” e avrà
bisogno di tempo e forze e riflessioni per comprendere la sua origine e la sua
identità. Il difficile compito sarà sostenuto dal sincero amore dei genitori e
confido che a partire da questa insolita origine, o nonostante questa insolita
origine, avrà la possibilità di una vita felice.
Il punto che resta in ombra invece
è la condizione dei genitori. L’impossibilità di avere dei figli è un elemento
di dolore e questo deve essere rispettato. Così come deve essere rispettato il
desiderio di maternità e paternità che spinge la coppia alla ricerca di un
figlio. Ma quando un genitore dà la vita a un figlio non è la vita del figlio
che dà, ma la sua stessa di genitore. C’è
una sola vita che si può dare a un figlio, ed è la propria. Se dunque per
il figlio che si desidera non si è in grado (difficile compito!) di dare la
propria vita fino a rinunciare di avere quel figlio a tutti i costi, per il suo
bene, quale esempio di maturità e
paternità offriamo nella nostra società?
Se un uomo non è in grado di sopportare e trasformare il proprio dolore
di uomo, quale genitore ed educatore può essere? Può assumersi la responsabilità
di padre chi non è in grado di assumere su di sé la propria responsabilità di
uomo? Si può accettare una società in cui le frustrazioni e le sofferenze di
una coppia di adulti (si possono ancora chiamare adulti?) sono riversate su un
esserino innocente? Quali attese ancor
prima della nascita ricadono su quel bambino, per sua stessa essenza! Quale compito ingrato spetta al
nascituro: essere la risposta al desiderio di felicità dei genitori!
Dove sta
l’amore in tutto questo?
E si parlava di gratuità…